Dietro la barba da filosofo e la voce misurata di questo eclettico napoletano del Rione Sanità, si cela un amore profondo per il linguaggio della fotografia. Mimmo Jodice è un artista che ama sconvolgere, giocare, e ricostruire le immagini senza paura di infrangere gli schemi, con la determinazione dei grandi che non si sono lasciati condizionare dall’incomprensione che spesso accompagna gli esordi di carriera.
A lui si deve il merito di aver contribuito a elevare la fotografia nel nostro Paese a forma espressiva riconosciuta come arte, passando da una concezione puramente “tecnica” a una che ne sottolineava il valore “estetico”. Fu il primo a ottenere una cattedra di Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
«Qualcuno ha preparato gli scatti per me»
In diverse interviste, Mimmo Jodice ha raccontato: “Spesso mi sembra che qualcuno abbia preparato le cose per me, sapendo del mio passaggio le abbia predisposte così che io le potessi scattare”. Una mostra dedicata all’autore, intitolata “Mimmo Jodice. L’enigma e la luce”, è visitabile fino al 4 novembre nel Salone del Parlamento del Castello di Udine. La mostra ripercorre l’intera carriera di Jodice con 140 fotografie in bianco e nero realizzate tra il 1964 e il 2015, curata dai Civici Musei di Udine con Silvia Bianco, Roberto Koch e Alessandra Mauro, in collaborazione con Mimmo, Angela e Barbara Jodice, e con lo Studio Jodice.
La ricerca visionaria di Mimmo Jodice è quella di un risultato che l’artista ha già in mente con estrema chiarezza. “Il mio lavoro non nasce da belle occasioni da fotografare”, spiega, “non ho mai cercato l’attimo fuggente. Tutte le mie immagini nascono da un progetto, quando vado in giro per scattare cerco la corrispondenza tra la mia idea e la realtà e solo dopo punto l’obiettivo”.

«La mia arte coincide con le mie inquietudini»
La carriera di Jodice ebbe inizio per caso. Fin da giovane era attratto dal disegno e da altre forme artistiche, ma il regalo di un ingranditore da parte di un amico lo introdusse al mondo della fotografia. Fu amore a prima vista. I primi anni di attività li dedicò alla sperimentazione: “Volevo vedere cosa succedeva a fare tutto quello che non si doveva fare”. Giocava con il contrasto, scoprendo le meraviglie della camera oscura e le infinite sfumature che poteva dare agli scatti in bianco e nero.